DI ALAN NASSER
counterpunch.org
L’agenda nazionale della Clinton si intreccia con quella
estera: “Dominio a 360 gradi ” in tutto il globo, precariato in crescita
negli Stati Uniti
Harry Truman sorprese gli americani con la sua richiesta di una
sanità gratuita per tutti, su modello dei governi europei; Johnson lo
fece estendendo le riforme della Great Society*, e pure Nixon
lo fece con un’ondata di provvedimenti regolatori e di spesa sociale da
lui approvati, superando Johson su diversi fronti “Keinesiani”. Hillary
Clinton invece non ci offrirà simili sorprese. La sua impronta tangibile
nello scivolamento a destra del partito ci fa dedurre con ferrea logica
ciò che possiamo aspettarci dal “mostro” sia sul fronte interno che su
quello estero.
Il suo attacco imminente alla classe lavoratrice unisce l’austerità
neoliberista alle strategie di dominio in politica estera del Partito
Neocon-Democratico. Ciò che segue è un sunto abbastanza breve.
Photo: Joseph Sohm | Shutterstock.com
Dominio ad ampio raggio e limiti delle ambizioni imperiali
Se non sapessimo nulla della storia del capitalismo imperialista e
della sua attuale manifestazione, dando per assodato un mondo di nazioni
che mostrano livelli differenti di ricchezza e potere, potremmo
immaginare uno schieramento geopolitico ne quale il mondo è diviso in
diverse aree, mentre le nazioni dalle economie più potenti esercitano la
più grande influenza regionale. “Influenza regionale” andrebbe
declinata in una determinazione dei poteri maggiormente autoritaria -
previa consultazione con altre potenze regionali – dei principali
assetti delle relazioni commerciali, accordi di cooperazione e politiche
di investimenti. Questo sarebbe un mondo “multipolare” senza egemonia
globale di un singolo. I conflitti potenziali si eviterebbero con: 1)
nessuna potenza principale aspirante al dominio globale, e 2) le potenze
principali della regione, che rappresentano i legittimi interessi delle
nazioni che la costituiscono, partecipano a dei negoziati per
scongiurare i conflitti assieme alle altre principali potenze regionali.
Personalmente non raccomanderei né sconsiglierei un assetto simile. Il
punto è che vi è un certo numero di possibili assetti globali che ad uno
sguardo politico presentano aberrazioni non immediate. Non è il mondo
in cui viviamo.
Il nostro mondo presenta una classe dirigente americana pienamente
impegnata in quello che il Pentagono ed il resto del mondo chiamano Full Spectrum Dominance (dominio
ad ampio raggio ndr) (FSD). Il concetto del quale è implicito nel
progetto imperiale. Non appena le ambizioni imperiali vengono in essere,
il mondo è - e deve essere - il limite. Nel mondo odierno, dominato
esclusivamente dal potere capitalista, e nel quale ogni regione è legata
con quasi tutte le altre sia industrialmente che finanziariamente, il
conflitto capitalista significa che il potere imperiale non può essere
condiviso. Quando molteplici aspiranti imperi sono coesistititi, gli
accordi ebbero vita breve: la guerra ha sempre sottomesso tutti tranne
uno.
Il colpo di mano di Washington per l’FSD significa che l’egemonia deve andare verso la guerra perpetua. I liberal
preferiscono addossare la colpa della guerra perpetua a Bush, Cheney
&co. Ma l’FSD è il Washington Consensus, e la guerra continua è
stata assicurata da Obama nel suo discorso in occasione… del Nobel per
la pace!
Mentre il potere di Washington è senza alcun rivale del calibro
dell’Unione Sovietica, i paletti dell’impero sono piantati: se non sei
con noi sei contro di noi. Gli Usa non devono solo restare insuperati in
campo militare, ma neppure affiancati; ogni nazione in grado di
contrastare un’aggressione statunitense deve essere considerata uno
stato nemico. Le elite Usa vedono Cina e Russia come il maggiore attuale
o potenziale deterrente all’egemonia globale Usa. La Russia è perciò
circondata dal potere militare Usa, le repubbliche ex sovietiche vengono
attratte nella principale alleanza di Washington, la Nato e le flotte
Usa stazionano nei pressi delle acque territoriali Usa. The Navy Times riporta
senza giri di parole che “Gli Usa inviano una squadra navale d’attacco
per fronteggiare la Cina… L’esercito Usa ha dispiegato una piccola
flotta nel Mar Cinese del Sud.”
Questo per quanto riguarda il “pilone Asiatico”. E dietro a tutto ciò
sta Hillary Clinton. Un pizzico di coscienza storica ci farebbe
riconoscere in tutto questo l’apertura di un conflitto armato. Non c’è
bisogno di un’intenzione esplicita per entrare in guerra. Ma questo è
uno scenario che enfatizza enormemente il rischio di un confronto
militare. Sussulto al pensiero di come potrebbe essere la Crisi dei
Missili di Cuba di un domani.
Il pilone Asiatico e il crescente impoverimento della classe lavoratrice statunitense
E’ stato un mantra delle elite e del loro presidente che i lavoratori
americani debbano abituarsi a sopportare salari più bassi e uno
standard di vita in calo, al fine di “gettare nuove basi per la
crescita” o di riconoscere la realtà della globalizzazione oppure… Il 14
Aprile 2009 Obama, in un discorso alla Georgetown University ci ha
detto che noi “dobbiamo consumare meno a casa nostra ed esportare di più
all’estero”. Lo stesso anno Jeffery Immelt, amministratore delegato
della General Electric, due anni prima della sua nomina a capo del
Consiglio della Presidenza per il lavoro e la competitività, ha
ricordato presso il Detroit Economic Club che “ Noi tutti
sappiamo che i consumi americani non possono guidare la nostra ripresa.
Questa economia deve essere guidata da investimenti ed esportazioni…”
Queste osservazioni sottendono una logica implicita che ci dice chiaramente come si sia esaurita l’eredità del New Deal e della Great society,
ed anche del ritorno all’economia degli anni ’20: nessun aiuto
governativo ai salari bassi e stagnanti, tutti gli aumenti di
produttività vanno in teoria al capitale e l’inevitabile conseguenza
matematica di queste politiche è una sempre crescente diseguaglianza.
Ora: i salari bassi hanno una doppia funzione: essi abbassano la
principale componente dei costi totali di produzione e fanno perciò
salire i profitti. In un periodo di maggior competizione internazionale,
i bassi salari sono il fattore chiave per la riduzione dei costi ed il
rilancio della competitività nell’export. In un discorso del 2010 presso
la Import-Export Bank Obama ha sottolineato la priorità
politica della competitività nell’export: “ I mercati mondiali più in
crescita sono al di fuori dei nostri confini. Dobbiamo competere per
questi mercati perché anche altre nazioni lo stanno facendo.” Come disse
Immelt nel 2011: “Ci siamo globalizzati per vendere i nostri prodotti.
Siamo grandissimi esportatori Usa….oggi andiamo in Brasile, Cina e
India, perché è lì che stanno i nostri clienti. E’ lì che stanno i
mercati…dei nostri prodotti principali, l’ 80% dei quali viene venduto
fuori dagli Usa” Il messaggio è chiaro: i consumatori d’oltremare devono
sostituirsi all’ormai esaurito potere d’acquisto dei consumatori Usa;
essi assorbiranno l’output dell’industria statunitense. I lavoratori
americani somiglieranno sempre più ai lavoratori sfruttati dei paesi
poveri dipendenti dall’export.
Hillary Clinton è salita a bordo della nave dell’impoverimento. Nel
2011 ha annunciato che “la nostra ripresa economica interna dipenderà
dalle esportazioni e dalla capacità delle aziende americane di sfruttare
la vasta e crescente fascia di consumatori in Asia. Il “pilone
asiatico” consiste nel rimpiazzare – come consumatori dei prodotti Usa -
la classe lavoratrice americana impoverita con quella estera,
preservando nel frattempo l’egemonia globale Usa. I lavoratori americani
continueranno di sicuro a comprare la produzione delle aziende Usa,
puntellando col debito gli esigui salari, ma verranno visti sempre più
–sia dalle elites e dagli analisti- come un mero costo di produzione
piuttosto che una fonte di guadagno. La Clinton metterà tutte le proprie
energie in questo progetto. Col tempo, non ci sarà modo per i
lavoratori americani di sconfiggere la guerra del presidente contro i
lavoratori. Non mi sorprenderebbe se la sua impopolarità futura dovesse
superare il suo attuale disprezzo da parte della gente.
Non possiamo sovrastimare la priorità dei circoli di potere di
reindirizzare l’economia Usa verso quelli che sono visti dalle elites
come i mercati del futuro. Lo scorso anno il segretario della Difesa Usa
Ashton Carter ha esplicitato alcuni dettagli sulle linee guida
geostrategiche che sottostanno al pilone Asiatico/politica dei bassi
salari delle elite:
“Già vediamo i paesi della regione (Asia-Pacifico) mentre cercano di
spartirsi questi mercati…creando diversi singoli accordi commerciali
negli ultimi anni…accordi che …lasciano gli Usa ai margini. Ciò mette a
rischio l’accesso Usa a questi mercati in crescita. Dobbiamo decidere se
lasciare che ciò accada. Se stiamo aiutando a spingere la nostra
economia e le nostre esportazioni…e rinsaldare la nostra influenza e la
nostra leadership nella regione del mondo che cresce più velocemente; o
se, invece, ci stiamo escludendo dal gioco… La regione Asia.Pacifico è
quella che definisce il nostro futuro di nazione… metà della popolazione
mondiale vivrà lì entro il 2050…più di metà della classe media globale e
dei relativi consumi verranno da quella regione…il Presidente Obama ed
io vogliamo assicurare che …il business può competere con successo per
questi potenziali mercati…nel prossimo secolo, nessuna regione sarà più
importante…per la prosperità Usa.”
Carter in un discorso un mese più tardi ha definito chiaramente il
tipo di aggressione geopolitica che sarò necessaria per un simile blitz
commericale: “Non dovranno esserci errori: Gli Usa voleranno,
navigheranno e opererano ovunque le leggi internazionali lo consentano,
come facciamo in tutto il mondo.” Ed ha anche chiarito che questo
sarebbe stato il modo in cui gli Usa avrebbero mantenuto il Domino ad
Ampio Raggio in Asia, esplicitando l’intenzione di Washington di
diventare la principale potenza egemone dell’Asia-Pacifico per i decenni
a venire”. Il pezzo su “ovunque le leggi internazionali lo consentano” è
un non-sense. Washington ha mostrato che laddove le leggi
internazionali contrastano con le ambizioni imperiali, le leggi
internazionali hanno la peggio.
Il neoliberismo interno si intreccia all’aggressione imperiale
all’estero. L’agenda di washington è coerente nel suo insieme.
L’influenza della Clinton ci fa fortemente presagire degli esiti
preoccupanti qui e all’estero.
Alan Nasser
Fonte: www.counterpunch.org
Link: http://www.counterpunch.org/2016/06/17/hillarys-agenda-here-and-abroad-intertwinedfull-spectrum-dominance-around-the-globe-a-swelling-precariat-at-home/
17.06.2016
Traduzione per www.comedonchuisciotte.org a cura di VALENTINO FANCELLO
*https://it.wikipedia.org/wiki/Grande_societ%C3%A0