LA SIRIA E IL PETROLIO
Postato il 16/09/2013 di cdcnet
|
|
DI VALENTIN KATASONOV
strategic.culture.org
Si legge sempre più frequentemente
sui mezzi stampa e d’informazione che la Russia avrà probabilmente da
guadagnarci da un aumento dei prezzi del petrolio in conseguenza della
guerra U.S.A. in Siria. Si dice che alla Russia convenga essere dalla
parte degli occidentali, che si preparano ad un’operazione militare,
invece che dalla parte del governo ufficiale di Bashar al-Asad.
Lasciamo da parte, per ora, gli aspetti morali e politici di questa
linea di pensiero alquanto sgradevole e miope. Guardiamo il lato
economico della questione.
L’argomento petrolio e i suoi
collegamenti con gli avvenimenti in Siria, ha iniziato ad occupare,
dall’Agosto di quest’anno, le prime pagine dei canali d’informazione,
divenendo anche tema prioritario di seri studi analitici.
In quel momento la crisi della Siria era entrata in una fase “attiva” e
la Russia aveva preso sulla vicenda una posizione piuttosto ferma e di
principio. Alcuni analisti della banca Francese Société Générale
avevano pubblicato i risultati di uno studio secondo cui a seguto dei
fatti della Siria, il prezzo del greggio Brent avrebbe potuto schizzare a
150$ il barile (circa 40% in piu’ della media degli ultimi mesi). In
seguito, il quotidiano belga Echo ha trasmesso questi dati, e tutti gli
altri canali d’informazione hanno iniziato a diffondere la notizia,
compresi quelli russi. Alcuni hanno scritto, in modo concitato, che “il
nuovo conflitto in Medio Oriente” (leggasi: l’attacco americano alla
Siria e la diffusione della guerra al di fuori dei suoi confini) avrebbe
significato per la Russia una gran fortuna, dato che metà del suo
bilancio proviene dalla vendita di petrolio e gas”.
E’ difficile dire che altro c’e’ dietro a questa linea di pensiero – la
tipica ignoranza dei giornalisti, uno sconcertante cinismo, oppure i
segni di un sabotaggio ideologico. Probabilmente tutti e tre questi
elementi, se poi un giornale moscovita finisce con il riportare in modo
entusiasta: “L’Alta Scuola di Economia ha già calcolato che – nella
peggiore delle ipotesi – la diffusione del conflitto in tutto il Medio
Oriente (produttore di petrolio) produrrà un aumento annuale delle
entrate di oltre 100 miliardi di $. Il che equivale a un quarto
dell’intero bilancio.”.
Affinchè tali “rivelazioni” non turbino il lettore impreparato, propongo
di esaminare il caso un pò più da vicino.
AUMENTO DEI PREZZI: SE CI SARA’ NON SARÀ MOLTO E NON PER MOLTO
Per iniziare, dobbiamo notare che la Siria produce poco petrolio;
rappresenta solo lo 0,2% della produzione mondiale di oro nero. Ora ha
smesso di esportarlo all’esterno. Quindi, se le cose andranno bene, se
la guerra non si espande fuori dai suoi confini, l’influenza del fattore
Siria sullo stato dei mercati mondiali dell’energia, sarà
insignificante. Consideriamo, tuttavia, uno scenario sfavorevole, in
cui gli avvenimenti in Siria finiscano con il destabilizzare la
situazione nell’intero Medio Oriente. Allora la cosa inizierebbe a farsi
sentire; tutta la regione rappresenta un terzo della produzione
mondiale. E’ questo lo scenario che la Société Générale ha preso in
considerazione nella sua analisi.
Nelle valutazioni di analisti seri, potrebbero invece salire i prezzi
mondiali del petrolio. Tuttavia, l’effetto sui prezzi sarebbe minimo e
di durata relativamente breve. Sarebbe minimo, poiché i prezzi del
petrolio, nell’opinione degli analisti, alti lo sono già. Saliranno, ma
non di molto. Ed è piuttosto improbabile che raggiungano il livello
$150. E, cosa più importante, non resteranno comunque alti per molto.
Abbiamo esperienza di operazioni militari contro Iraq e Libia e di
destabilizzazione della situazione in Egitto. La storia era sempre la
stessa: un breve aumento dei prezzi e un successivo ritorno ai livelli
originari. Oggi sono disponibili grandi riserve che possono compensare
eventuali riduzioni di produzione di energia. I Paesi OPEC hanno già
dichiarato che, se i prezzi inizieranno a salire, provvederanno a
“regolare” il mercato energetico. Non hanno bisogno di prezzi
esageratamente alti. Hanno sufficienti riserve pronte per essere
utilizzate per la stabilizzazione dei prezzi. Aumenti improvvisi non
sono affatto vantaggiosi per i Paesi OPEC, poiché provocano un potente
stimolo allo sviluppo di fonti energetiche alternative e a una maggiore
efficienza energetica. Per questo motivo “..i paesi produttori di
petrolio preferiscono che il prezzo resti a livelli “medi” ed i prezzi
attuali sono anche un pò al di sopra di questi livelli.”
“Secondo la nostra opinione” dice il direttore del dipartimento di
analisi di Alpari, Alexander Razuvaev, “nel mercato delle materie prime
si ripeterà la situazione verificatasi nel 2003, durante le operazioni
militari di USA e alleati in Iraq. Il petrolio toccherà livelli
“bellici”, raggiungendo i 120$ a barile, anche 130$ per il Brent, ma non
è previsto che arrivi a superare i record storici del 2008. Se, come è
molto improbabile, l’attuale governo siriano cadesse presto, come
accadde in Iraq nel 2003, il petrolio andrà giù. In questo scenario
possiamo aspettarci che il Brent scenda a 100-105$ il barile”.
NEANCHE ALL’OCCIDENTE SERVE UN AUMENTO DEI PREZZI
Anche secondo gli U.S.A. non ci sarà un brusco aumento dei prezzi del
petrolio. Secondo Ed Crooks e Gregory Meyer, nel loro articolo sul
Financial Times del 4 settembre scorso, se il prezzo del petrolio
dovesse salire rapidamente oltre i $120 il barile dopo l’avvio di un’
operazione militare contro la Siria, gli U.S.A. metterebbero sul mercato
il petrolio delle loro riserve strategiche. Anche l’Agenzia
Internazionale dell’Energia (IEA), che coordina l’utilizzo delle riserve
dei paesi occidentali, ha espresso la sua posizione. Alcuni giorni fa
un rappresentante della IEA ha detto “Fermo restando che la IEA, come
sempre, è pronta a intervenire nel caso si verificasse un evento che
sconvolga i flussi produttivi, l’attuale situazione non sembra
richiedere un’azione da parte dell’Agenzia. Se gli U.S.A (insieme ad
altri paesi) metteranno sul mercato il petrolio delle loro riserve,
questo fermerà l’aumento dei prezzi”.
«Non siamo di fronte ad un grilletto pronto a scattare, ma se dovessimo
notare che i prezzi raggiungono i 125 dollari a barile, sarà quella per
noi l’indicazione che c’e’ una sofferenza del mercato, e probabilmente
un problema causato da una carenza temporanea, a cui si potrà ovviare
immettendo nel mercato il petrolio delle riserve strategiche” dice Jason
Bordoff, un ex funzionario per l’energia alla Casa Bianca che
attualmente gestisce il Centro di Politica Energetica Globale.
“La Casa Bianca, per rassicurare il mercato, dovrebbe forse esprimersi
un po’ di più, ricordando a tutti la possibilità dell’utilizzo delle
riserve strategiche” afferma David Goldwyn, un ex funzionario del
Dipartimento di Stato e dell’Energia degli U.S.A. Goldwyn aggiunge
“Credo che quello che dicono e quando lo dicono sia più importante di
quello che poi effettivamente fanno”.
Questa sarebbe la prima immissione di petrolio proveniente dalle riserve
strategiche dal 2011. In quel momento, i leader dei paesi più
sviluppati usarono le riserve strategiche per allentare la stretta del
mercato causata da una ridotta produzione durante la guerra in Libia.
Il punto è: perché Washington è così preoccupata sulle eventuali
conseguenze che avrà sui prezzi un’eventuale aggressione militare contro
la Siria? Perché, oggi, ogni brusco cambiamento in qualsiasi mercato
(non solo quello petrolifero) potrebbe agire da detonatore di una crisi
di livello mondiale. Il mercato mondiale dei titoli è letteralmente
appeso a un filo. E’ impossibile dire quali fattori abbiano maggiori
effetti negativi su questo mercato: gli avvenimenti in Siria o le
ombrose illazioni di Ben Bernanke secondo cui “…la Federal Reserve
potrebbe ridurre il programma di di “ allentamento monetario” .
“Per il mercato dei titoli russo, una contrazione nel mercato mondiale
dei titoli sarà ben più grave di un aumento dei prezzi del petrolio»,
dice Alexander Razuvaev.
GLI AVVENIMENTI IN SIRIA POTREBBERO SCATENARE UNA CRISI MONDIALE
Molti pensano che gli avvenimenti in Siria potrebbero scatenare una
crisi economica e finanziaria di livello mondiale. Ed è praticamente
impossibile predire con esattezza chi ci guadagnerà e chi perderà. Molto
probabilmente, tutti perderanno. Russia compresa. Ricordiamo il 2008. A
Luglio di quell’anno, prima della crisi, i prezzi toccarono punte da
record; un barile costava $147.3. Ma alla fine del 2008 il prezzo del
petrolio scese a $35. Crollarono così tutte le proiezioni di bilancio al
rialzo collegate alle entrate petrolifere. La Russia entrò in una crisi
dalla quale ancora oggi deve riprendersi.
Una grave destabilizzazione del Medio Oriente potrebbe significare
grosse perdite per la Russia, anche molte volte più grandi del guadagno a
breve termine derivante da un rialzo dei prezzi del petrolio. In
particolare, potrebbe verificarsi una contrazione (o anche una totale
sospensione) delle esportazioni militari russe verso l’area in
questione. In molti paesi l’andamento degli investimenti potrebbe
cambiare in peggio. Queste conseguenze negative colpirebbero anche la
Russia, poiché gli investitori sanno bene che la Siria non è che un
intermediario nel conflitto militare. Quindi, è pressoché inevitabile
che i capitali stranieri lascerebbero la Russia; e aumenterebbe anche la
fuga di capitali interni verso l’estero.
E nella peggiore delle ipotesi, se dopo la Siria toccherà all’Iran e
l’Occidente riuscirà nell’intento di controllare l’area di maggiore
produzione ed esportazione di energia del mondo, la Russia perderà la
sua “arma petrolio” e probabilmente anche la sua “arma gas”. Se, ad
esempio, cade l’attuale governo in Siria, il Qatar, fedele alleato
dell’Occidente, avrà tutte le carte in regola per sfidare a lungo
termine le posizioni occupate da Gazprom in Europa.
Da notare anche che neanche le società petrolifere russe hanno bisogno
di un rialzo dei prezzi dell’oro nero; sono più che contente dei prezzi
attuali, che gli assicurano attualmente entrate soddisfacenti per il
finanziamento e la realizzazione di progetti di investimento connessi ai
prezzi del petrolio. Ci hanno messo tanto a raggiungere questi livelli
di guadagno e un eventuale aumento dei prezzi potrebbe vanificarli. E in
futuro, sarebbe molto più arduo riconquistarli.
Per inciso, le misure di bilancio annunciate dal Presidente della Russia
non verranno sospese, anche se i prezzi del petrolio iniziassero a
salire in conseguenza degli avvenimenti siriani. A proposito di questo,
il Ministro delle Finanze russo Anton Siluanov ha dichiarato
spontaneamente in un’intervista a Russia Today durante il Vertice G20,
«Per la Russia, qualsiasi variazione nei prezzi (del petrolio)
significherà che ogni ulteriore entrata da petrolio e gas proverrà dal
Fondo di Riserva”.
Dunque, quali sono le conclusioni? Primo: gli eventi in Siria non
avranno un’influenza diretta e sostanziale sui mercati petroliferi;
mettiamo quindi da parte ogni aspettativa di maggiori guadagni derivanti
da un aumento dei prezzi del petrolio. Secondo: questi avvenimenti
potrebbero scatenare l’inizio di una nuova crisi economica a livello
mondiale, una minaccia quindi di enormi perdite per l’economia russa, di
entità difficile da prevedere. Per questa ragione, e non solo per
motivazioni morali e politiche, ma soprattutto basandosi sugli interessi
economici, la Russia farà ogni cosa in suo potere per evitare un
attacco e l’escalation della crisi.
Valentin katasonov
Fonte: www.strategic-culture.org
Link: http://www.strategic-culture.org/news/2013/09/12/syria-and-oil.html
12.08.2013
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63
|
| |
Non hai ancora un tuo account? Crealo Qui!. Come utente registrato potrai sfruttare appieno e personalizzare i servizi offerti.
|
|